Member-only story

«Ho molto affetto per gli onesti libri di viaggio… Essi posseggono la virtù di offrire un altrove teorico e plausibile al nostro dove imprescindibile e massiccio». (Antonio Tabucchi)
L’isola è una montagna.
Sorge dalla profondità del mare, si spinge verso la superficie guidata da una irresistibile potenza tellurica, un vulcano che innalza se stesso sino a buttare uno sguardo dall’alto di mille e duecento metri sull’atlantico, da una parte verso Nantucket, Massachusetts, Stati Uniti, e dall’altra verso Lisbona. È Pico, nelle Azzorre.
Nei miei rari, rarissimi viaggi fisici, ho avuto la fortuna di esserci stato. Le ho raggiunte molti anni fa, inseguendo un racconto di Tabucchi, Donna di Porto Pim.
Erano gli anni in cui il Portogallo e Lisbona vivevano una irresistibile primavera culturale, gli anni di film che l’hanno consegnata al mondo, Sostiene Pereira, di Roberto Faenza, con un Mastroianni fantastico. Fu anche la sua ultima prova. Lisbon Story, fichissimo, mitico, di Vim Venders, dove mi innamorai perdutamente assieme a Philip Winter (e presumo molti altri) di Teresa Salgueiro, bella e intensissima cantante dei Madredeus…

Ma torniamo nelle Açores. Dunque, dicevo… Ero là, a Horta, nella baia di Porto Pim. Il libro di Tabucchi. L’ho posato a terra, e mi sono guardato attorno.
“Non sei nel mediterraneo — mi davo conferma — non sei al caribe, e neppure negli atolli del pacifico.
Sei nell’Atlantico.”
Alcuni pensano che queste isole sia il resto di Atlantide sprofondata, ma di sicuro questo è l’ultimo lembo d’Europa, è la Finis Terrae, anche se il continente si ferma a Cabo do Roca e da li si scende nell’oceano. Immeeeenso. Per ritornare sù un po’ qui. E…